mercoledì 6 maggio 2020

La fase 2 sarà un flop


Favorirà una tripla esplosione: dell’economia della tenuta sociale e della politica. Ma si faranno strada forze nuove.

Avremmo dovuto essere alla vigilia della “fase 2”, quella della ripartenza. Ma così non è. Il Paese aveva (e ha) maturato l’aspettativa che dopo due mesi di reclusione, fosse giunto il momento non solo di un seppur graduale riacquisto della normalità, ma anche che gli fosse concretamente riconosciuta, responsabilizzandolo, quella maturità sociale che per giorni e giorni gli è stata rovesciata addosso con una pioggia di dichiarazioni melliflue. Invece, della “fase 2” non c’è neppure l’ombra, sia per le disposizioni inserite nell’ultimo (ennesimo) Dpcm sia per il caos organizzativo che contraddistingue un momento che avrebbe dovuto essere scandito da precisione e semplicità. Mentre, al contrario, si apre la “fase E”, anzi della “tripla E”, cioè quella dell’esplosione, in sequenza, della crisi economica, della crisi sociale e della crisi del sistema politico. Della prima e della terza si sono già visti dei precisi segnali, mentre la seconda è solo ritardata dal permanere (ancora) della paura del virus – che fin qui, alimentata da un insensato atteggiamento dei media, ha prevalso su tutto – e da quell’effetto di ammortizzatore che il livello di patrimonializzazione (ufficiale e occulta) degli italiani in larga misura consente (come è già capitato nella lunga recessione iniziata nel 2008 e finita nel 2012).

Cerchiamo dunque di capire cosa è successo. Il presidente del Consiglio – inutile parlare di governo, che di fatto non esiste più – per settimane si è sottomesso alla “tirannia” del “club dei virologi” (efficace definizione di Giuliano Cazzola), poi, colto il crescente orientamento del mondo economico, lavoratori compresi, alla riapertura delle attività, aveva ritenuto di riorientare la bussola dei suoi comportamenti, per evitare che gli fosse gettata addosso la croce della “carestia”. Solo che, essendo Conte paragonabile a Churchill – cui pare gli piacerebbe somigliare – come chi scrive ad un anoressico, voleva da un lato avere la copertura delle varie task force che ha messo in piedi nell’intento di far credere di possedere la virtù dell’efficienza, e dall’altro il beneplacito della comunità scientifica (o almeno di quelli che vanno in tv ogni santo giorno a pontificare). E così non è stato. Il fronte degli addetti alla sanità ha gridato al pericolo di una nuova fiammata di contagio – in questo confortati dalla totale confusione che regna circa le regole di prevenzione e dall’altrettanto gigantesca disorganizzazione in merito alla disponibilità degli strumenti della medesima – e così Conte ha prontamente rinculato.
Ora, che la riapertura comporti rischi è evidente anche ai profani, ma un capo di governo che ha preteso di operare nella fase dei divieti assoluti con i “poteri illimitati” che pure la Costituzione non gli assegna, avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di decidere per il bene della nazione che presume di guidare da statista. Cioè, avrebbe dovuto – come hanno autorevolmente e concordemente suggerito nella mia War Room, da sponde opposte, uno scienziato fuori dal coro e del calibro di Gilberto Corbellini e monsignor Vincenzo Paglia – rinunciare a quel paternalismo da maestro d’asilo che ha avuto fin qui e lasciare liberi gli italiani di comportarsi responsabilmente, dando loro alcuni limiti collettivi (tipo il divieto di assembramento) e pochi chiari suggerimenti comportamentali. Come è successo in Germania e in generale nei paesi del nord Europa.
Invece, se con i precedenti Dpcm si era adottato lo schema “siccome non mi fido ti chiudo in casa”, ora con il nuovo decreto si è passati al “siccome devo farti uscire (poco) ma continuo a non fidarmi, ti metto mille vincoli e altrettanti controlli”. Arrivando persino a voler discernere gli affetti (stabili e fugaci) e a distinguere i gradi famigliari (congiunti stretti e parenti). Se poi a questo si aggiunge il fatto che il “federalismo emergenziale”, che in queste settimane ha dato il meglio di sé sul piano delle politiche sanitarie, ora sia pronto ad aggiungere caos al caos anche nel dopo lockdown con mille distinguo regionali, provinciali e comunali, si capisce come lunedì 4 maggio non si rivelerà una data da cerchiare sul calendario.
Insomma, il risultato sarà che un “paese iceberg” quale già siamo, lo diventerà ancor di più, con una parte emersa (paese formale) fatta di un groviglio inestricabile di norme, regole e regolette, lacci e lacciuoli, controlli (teorici) e sanzioni (dimostrative), ma anche eccezioni e sub-eccezioni, e una parte sommersa (paese sostanziale) che concede briglie sciolte al “fai da te” contribuendo a trasformare in anarchia ciò che dovrebbe e potrebbe essere semplicemente libertà accompagnata da responsabilità. Una dicotomia che vedremo dispiegarsi in tutta la sua perniciosità nel corso della recessione economica – la prima evidenza si è vista con i provvedimenti a sostegno delle imprese, tra la liquidità annunciata (750 miliardi) e la liquidità effettiva (poco e niente) – che inevitabilmente si trasformerà in emergenza sociale.
Ecco perchè temo che quella che si aprirà lunedì 4 maggio sarà la “fase E-E”, dell’esplosione della crisi economica e poi della crisi della tenuta sociale, con la forbice già larga tra paese formale e paese sostanziale che tenderà ad ampliarsi ulteriormente, rendendo ancor più complicato di quanto già non sia governare i processi reali. La conseguenza sarà l’emergere di una terza E, l’esplosione (o se si preferisce l’implosione) del sistema politico. Dico della politica e non del governo, non perchè io pensi che il Conte2 ne uscirà indenne, tutt’altro, ma perchè la crisi non investirà solo il governo e la maggioranza che lo sostiene, bensì l’intera attuale rappresentanza politica e parlamentare. Sarà punito non solo chi ha preteso poteri illimitati come (e più che) se fossimo in guerra, forzando inutilmente e maldestramente le regole costituzionali, senza per questo saper guidare il paese nella tempesta, ma anche chi ha fatto opposizione, dentro e fuori il governo, senza riuscire a dare agli italiani l’idea che ci sarebbe stata e ci potrà essere una serie alternativa. Perchè prima, nella fase dell’emergenza sanitaria, questa effimera opposizione non è stata in grado di assumere né una linea di seria corresponsabilità né una di affidabile distinzione, e ora, nel dibattito su modalità e obiettivi della fase post lockdown, non porta nulla se non il proprio populismo (e la propria visceralità sovranista quando in gioco è il nostro rapporto con l’Europa).
Parliamoci chiaro, il problema politico che abbiamo davanti non è (solo) la tenuta o la caduta del governo Conte. Certo, la crescente ostilità verso il protagonismo di chi si crede premier (senza esserlo), attuato con un insopportabile egocentrismo e costruito con una modalità di comunicazione tanto invasiva quanto pletorica e inconcludente, la crescente insofferenza verso la sua sfacciata ricerca di popolarità finalizzata a costruirsi un tesoretto politico ed elettorale di cui non dispone, fanno pensare che il tema sia Giuseppe Conte. Ma è evidente che l’avvocato del popolo così come è arrivato dal nulla, nel nulla potrà sparire con altrettanta rapidità. Il vero problema è che non basta sostituire lui con qualcun altro, perchè un po’ tutte le altre strade sono piene di macerie politiche. Non potrà certo bastare cambiare il presidente del Consiglio lasciando inalterata questa maggioranza, che soffre delle intemerate di Renzi (con più o meno buone ragioni di merito) e della ormai conclamata spaccatura del movimento grillino in vere e proprie correnti interne (più influenti satelliti esterni, come Marco Travaglio). E se si tratta di cambiare le alleanze, sembrano difficilmente percorribili tutte e tre le possibili alternative. Difficile per non dire impossibile mettere insieme tutti in un governo di salvezza nazionale, sia perchè per essere serio abbisognerebbe di un’assunzione di responsabilità collettiva che non è neppure lontanamente all’orizzonte, sia perchè necessiterebbe di un’iniziativa di Mattarella di cui sembrano mancare le premesse. Difficile, anche se meno improbabile della precedente ipotesi, che si formi una maggioranza Pd-Forza Italia con l’aggiunta di un esercito di volenterosi “responsabili” di varia provenienza (ma soprattutto 5stelle), sia per il persistere del “fattore Berlusconi” (anche se è in disarmo il partito dei demonizzatori) sia perchè richiederebbe una preventiva pastura politica che l’azzeramento (o quasi) dell’attività parlamentare e del confronto tra i partiti non consente. Impossibile – e siamo alla terza ipotesi – che sia il centro-destra (o meglio, il destra-centro) a fare da perno all’aggregazione di una nuova maggioranza, sia perchè né Pd né i pentastellati (in questo caso unitariamente) sarebbero disponibili, sia perchè dopo che Berlusconi (ascoltando finalmente i consigli di Gianni Letta) si è reso distinto e distante dal duo Salvini-Meloni, e considerate anche le crescenti differenze tra i due alleati sovranisti, il fronte che si era presentato unito al cospetto degli elettori nel 2018 pare definitivamente sgretolato. E, d’altra parte, gli umori dei cittadini rilevati dai sondaggi dicono che la Lega di Salvini non è più così trendy come qualche mese fa. Cosa, questa, che non solo apre alla possibilità di un fermento interno al partito che fu di Bossi che potrebbe persino sfociare in un tentativo di ribaltone di leadership, ma tende a favorire nuovi e più ampi rimescolamenti di carte.
Insomma, il sistema politico sembra essere irrimediabilmente imballato. E la possibilità di ricorrere alle urne, giocoforza finchè saremo sotto scacco del coronavirus, è preclusa. Ma come osserva saggiamente il mio amico Stefano Folli, quando “il logorio avanza, poi le cose possono accadere”. E ciò che sembrava fino a quel momento impensabile, diventa possibile. Magari anche il fatto che sulle ceneri di questa Repubblica abortita che voleva farsi chiamare Terza, potrebbero spuntare una o più forze, del tutto nuove o anche dal cuore antico, che riempiono gli spazi lasciati vuoti da chi sarà politicamente vittima della “fase tripla E”.
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