Ecco tutte le tappe
fondamentali della storia (anche mediatica) del nuovo coronavirus, in Cina in
Italia. Dalle prime polmoniti anomale alla scoperta del virus, dalla
dichiarazione dell'emergenza sanitaria al contagio in Italia, fino in ultimo
alla pandemia. Due mesi e mezzo densi di avvenimenti
(immagine: Getty Images)
Mentre fine dicembre 2019 e
inizio gennaio 2020 pensavamo ai buoni propositi per l’anno nuovo ed eravamo
del tutto ignari dell’emergenza sanitaria che si sarebbe creata, un
nuovo virus altamente contagioso e completamente sconosciuto al nostro sistema
immunitario aveva iniziato a circolare in una regione remota del globo. Non
avremmo mai pensato, all’epoca, che questo virus apparentemente così lontano
avrebbe potuto diffondersi e causare tanti problemi a livello individuale e
collettivo, per la salute, per i sistemi sanitari ed economici. Ma in poco più
di due mesi lo scenario globale è cambiato radicalmente e noi abbiamo dovuto
adattarci e far fronte alle nuove esigenze. Ecco la trama (anche mediatica)
della diffusione del coronavirus sintetizzata nelle principali
tappe temporali dell’epidemia di Covid-19.
31 dicembre 2019: “polmoniti
anomale”
Già a novembre – e forse
anche a ottobre, secondo le ipotesi di uno studio italiano – il nuovo
coronavirus Sars-CoV-2 aveva iniziato a circolare, in Cina, in
particolare a Wuhan, la città più popolata della parte orientale,
perno per il commercio e gli scambi. All’inizio, però, non si sapeva che si
trattava di un nuovo virus: ciò che inizia ad essere registrato è un certo
numero di polmoniti anomale, dalle cause non ascrivibili ad altri patogeni.
La prima data ufficiale in
cui inizia la storia del nuovo coronavirus è il 31 dicembre, in le
autorità sanitarie locali avevano dato notizia di questi casi insoliti.
All’inizio di gennaio 2020 la città aveva riscontrato decine di casi e
centinaia di persone erano sotto osservazione. Dalle prime indagini infatti,
era emerso che i contagiati erano frequentatori assidui del mercato Huanan
Seafood Wholesale Market a Wuhan, che è stato chiuso dal 1 gennaio 2020, di qui
l’ipotesi che il contagio possa essere stato causato da qualche prodotto di
origine animale venduto nel mercato.
Fra il 9 e il 12 gennaio:
l’annuncio del coronavirus
Il 9 gennaio le
autorità cinesi avevano dichiarato ai media locali che il patogeno responsabile è un
nuovo ceppo di coronavirus, della stessa famiglia dei coronavirus responsabili
Sars e della Mers ma anche di banali raffreddori, ma diverso da tutti questi –
nuovo, appunto. L’Oms divulgava la notizia il 10 gennaio, fornendo
tutte le istruzioni del caso (evitare contatto con persone con sintomi) e
dichiarando – all’epoca giustamente – che non era raccomandata alcuna
restrizione ai viaggi per e dalla Cina. Tutti i casi – ancora molto pochi –
erano concentrati a Wuhan e non si conosceva la contagiosità di questo virus
(Sars e Mers, ad esempio, molto più gravi erano però molto meno contagiose).
Il 7 gennaio il virus veniva
isolato e pochi giorni dopo, il 12 gennaio, veniva sequenziato e
la Cina condivideva la sequenza genetica. Questo è stato il primo passo
importante, in termini di ricerca, anche per poter sviluppare e diffondere i
test (i kit) diagnostici che serviranno a molti altri paesi. In questa fase la
Cina stava già svolgendo un monitoraggio intensivo.
21 gennaio: il virus si
trasmette fra esseri umani
Il 21 gennaio le autorità
sanitarie locali e l’Organizzazione mondiale della sanità annunciavano che il
nuovo coronavirus, passato probabilmente dall’animale all’essere umano (un
salto di specie, in gergo tecnico), si trasmette anche da uomo a uomo. Ma ancora gli esperti non sapevano
(e tuttora l’argomento è discusso) quanto facilmente questo possa avvenire. Il
ministero della Salute ha iniziato a raccomandare di non andare in Cina salvo stretta necessità. Nel
frattempo Wuhan diventava una città isolata e i festeggiamenti
per il capodanno cinese venivano annullati lì e in altre città cinesi, come
Pechino e Macao.
In Italia i casi erano
pochissimi e tutti provenienti dalla Cina: a partire dal 29 gennaio
c’erano due turisti cinesi di Wuhan contagiati, ricoverati
allo Spallanzani – uno degli ospedali italiani che
saranno protagonisti (loro malgrado) della vicenda del coronavirus. C’era poi
un ricercatore italiano positivo al virus e proveniente dalla Cina e un
diciassettenne, rimasto bloccato a lungo a Wuhan a causa di sintomi
simil-influenzali, non positivo al coronavirus ma ugualmente tenuto sotto
osservazione e ricoverato allo Spallanzani. Tutte queste persone sono guarite e
sono state dimesse nel mese di febbraio – per ultima, la paziente cinese della
coppia malata, il 26 febbraio. I contagi fuori dalla Cina sono ancora molto
circoscritti e limitati, con focolai per ogni paese di un manipolo di persone.
30 gennaio: l’Oms dichiara
lo stato di emergenza globale
Alla fine di gennaio il
rischio che l’epidemia si diffondesse passava da moderato a alto e il 27
gennaio l’Organizzazione mondiale della sanità scriveva che era “molto
alto per la Cina e alto a livello regionale e globale”. Tanto che nella
serata del 30 gennaio l’Oms dichiarava l’“emergenza sanitaria pubblica di interesse
internazionale” e l’Italia bloccava i voli da e per la Cina, unica in Europa.
Ma la situazione in Cina stava già migliorando: pochi giorni dopo, alla data
dell’8 febbraio, l’Oms scriveva che i contagi in Cina si stavano stabilizzando ovvero che il numero di nuovi
casi giornalieri sembrava andare progressivamente calando.
Febbraio: dare un nome alle
cose
L’11 febbraio è arrivato il nome della nuova malattia causata
dal coronavirus. Il nome, scelto dall’Oms, è Covid-19: Co e vi per
indicare la famiglia dei coronavirus, d per indicare la
malattia (disease in inglese) e infine 19 per sottolineare che sia
stata scoperta nel 2019. Questo per quanto riguarda la malattia, mentre il
virus cambia nome e non si chiama più 2019-nCoV, ma Sars-CoV-2 perché
il patogeno è parente del coronavirus responsabile della Sars (che però era
molto più letale anche se meno contagiosa).
All’epidemia di Covid-19 si
affianca quella dell’informazione, con notizie non sempre veritiere (molte sono
fake news). Tanto che ai primi di febbraio proprio l’Oms parla per la
prima volta di infodemia, termine nuovo con cui si indica il
sovraccarico di aggiornamenti e news non sempre attendibili.
21 febbraio: primi casi in
Italia
Venerdì 21 febbraio 2020 è
una data centrale per la vicenda italiana legata al nuovo coronavirus. In
questa data sono emersi diversi casi di coronavirus nel lodigiano, in
Lombardia: si tratta di persone non provenienti dalla Cina, un
nuovo focolaio di cui non si conosce ancora l’estensione. Alcuni dei paesi
colpiti (Codogno, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo ed altri) sono stati di
fatto chiusi, un po’ come avviene ora per l’Italia “zona protetta”.
Fuori dalla Cina, il numero
di contagiati è molto alto in Italia, Iran e Corea
del Sud, anche se per l’Oms quella di Covid-19 non è ancora una pandemia. Tuttavia, fra la fine di
febbraio e i primi giorni di marzo 2020, dopo l’Italia, anche in altri stati (europei e non solo) vengono rilevare un numero
crescente di casi e un’epidemia.
4, 8 e 9 marzo: le tre date
chiave dei provvedimenti in Italia
Il contagio si è diffuso nel
nostro paese, soprattutto nel nord, ma inizia anche in altre regioni. Per
questo, mercoledì 4 marzo il governo ha dato il via
libera alla chiusura di scuole e università in tutta Italia fino al 15 marzo.
Alla data del 4, stando ai dati della Protezione civile i positivi sono
circa 2.700 e già c’è qualche caso (decine o qualche unità) in tutte le
regioni. Mentre domenica 8 marzo arriva il decreto che prevede l’isolamento
della Lombardia, in assoluto la più colpita, e di altre 14 province, che
diventano “zona rossa”. Anche anche se la bozza ancora non ufficiale del decreto era
stata pubblicata da alcune testate già nella serata del 7.
E infine si arriva
all’ultima data (per ora) importante per l’Italia: quella di lunedì 9
marzo. In questa giornata, intorno alle 22, Conte annuncia in televisione
di aver esteso a tutto il paese le misure già prese per la Lombardia e per le
altre 14 province, tanto che tutta l’Italia diventerà “zona protetta”.
Le nuove norma sono contenute nel nuovo
decreto Dpcm 9 marzo 2020, entrato poi in vigore il 10
marzo. Di fatto la regola è contenuta nell’hashtag #iorestoacasa, si può uscire
solo per comprovate ragioni di necessità come per fare la spesa, per esigenze
lavorative, per l’acquisto di farmaci o per altri motivi di salute.
11 marzo: l’Oms dichiara la
pandemia
Mentre l’Italia si sta
muovendo – per prima in Europa, con il plauso dell’Organizzazione mondiale
della sanità – per contenere il contagio, anche a livello globale sta
succedendo qualcosa. L’11 marzo 2020 Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore
generale dell’Oms, ha annunciato nel briefing da Ginevra sull’epidemia di
coronavirus che Covid-19 “può essere caratterizzato come una situazione
pandemica”. dichiarando la pandemia. Ma questo non cambia di fatto le cose,
almeno non per l’Italia, come hanno sottolineato le autorità nazionali, che sta
già mettendo in atto le migliori misure possibili. L’obiettivo dell’Oms è quello
di fare un appello a tutte le nazioni per
contrastare la diffusione della Covid-19.
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