sabato 11 aprile 2020

Un nuovo contratto sociale è la vera fase due. Per rilanciare l’Italia, una proposta di Leonetti e Triulzi (di F. Luise)



L’epidemia di Covid-19 ha scatenato uno squilibrio economico senza precedenti, con uno shock sia dal lato della domanda (calo dei consumi), sia da quello dell’offerta (contrazione delle attività produttive), e un’annessa crisi di liquidità. In più, l’Italia si trova a fronteggiare la problematica sanitaria e il lockdown nazionale con sulle spalle un debito pubblico già pachidermico. Questa situazione potrebbe indurre un eventuale e non auspicabile scenario di instabilità finanziaria e deleveraging globale.
Sicuramente i danni maggiori saranno avvertiti dai paesi che più dipendono, come il nostro (ma anche come la Germania), dagli scambi commerciali internazionali, da quelli che non sapranno evitare i fallimenti delle proprie imprese, ancor più se di piccole dimensioni, o mantenere la base occupazionale proteggendo il reddito e il valore del lavoro autonomo, e quindi non in grado di proteggere il loro sistema previdenziale. Senza un programma di politiche nazionali di rilancio ed europee di condivisione dei rischi, qualsiasi progetto di ripresa dell’Italia è difficilmente perseguibile.

Ne sono convinti due ricercatori della Sapienza di Roma, Gianfranco Leonetti, docente del Master Strategies of Energy Management Systems – SEMS, ed Umberto Triulzi, docente ordinario di Politica Economica Europea, che hanno recentemente sviluppato una proposta per cercare di superare la crisi. Una proposta comprensiva sia di nuovo debito che di investimenti mid-long term ma soprattutto di politiche fiscali comuni e di un nuovo contrato sociale, con nuovi spazi di incontro pubblico-privato e la partecipazione del lavoratore nella governance sociale delle aziende. La vera fase due.
L’idea è quella di agire in primo luogo a livello interno. Va sviluppato un piano d’azione nazionale da inserire nella cornice europea, perché l’Europa non può essere sempre vista come la fonte di tutti mali né quella da dove vengono tutte le risposte, almeno attualmente. Bisogna affrontare le questioni della burocrazia e delle competenze e presentarsi a Bruxelles con una strategia di rilancio già strutturata, per dimostrare di aver intrapreso il cammino in modo credibile e modificare la percezione sulle nostre capacità,affermano Leonetti e Triulzi.
La proposta si basa sulla rivalutazione e sul rafforzamento della presenza dello Stato-imprenditore nell’erogazione dei servizi da valorizzare perché di pubblico interesse – come sanità, istruzione, infrastrutture e servizi strategici – e modelli di business finanziario costruiti su una più ampia partecipazione del capitale pubblico e privato nell’approvvigionamento delle risorse finanziarie necessarie ad assicurare la realizzazione del piano industriale e di investimenti per un’imprescindibile ripresa della crescita.

Quanto messo in campo finora, il ‘bazooka’ da 400 miliardi, per intenderci, non può che essere una soluzione di breve termine e non sarà sufficiente, trattandosi di un’immissione di liquidità a debito, che le imprese dovranno restituire. Innanzitutto, spiegano quindi i ricercatori, serve un rafforzamento delle politiche fiscali nazionali individuando uno strumento che liberi una liquidità vera, utile a far ripartire il Paese. Lo Stato potrebbe finanziare la ripresa emettendo titoli pubblici, con la partecipazione volontaria del
capitale paziente italiano e dei risparmiatori – che in tal modo si sentirebbero anche più partecipi –.

Dovrebbe trattarsi di titoli a lunga scadenza, come i Btp a 30 anni, indicizzati all’inflazione (che per ora, come sappiamo, è pressoché nulla) e che prevedano la sterilizzazione dei rendimenti nei primi dodici mesi e l’esclusione di capital gain. Questo per assicurare la tutela del risparmio ed evitare che la nuova emissione finisca per far deprezzare il debito pregresso. Tali bond renderebbero poco, certo, ma in tal modo si impiegherebbero i risparmi degli italiani per emettere nuovo debito a basso costo, in quanto le previsioni formulate dai principali centri di ricerca descrivono come deflattivi i primi impatti dell’epidemia di Covid-19. Tuttavia, in assenza di collaborazione e di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri dell’UE è anche possibile immaginare, successivamente, il diffondersi di focolai inflattivi in Europa.

Sempre a livello domestico, i ricercatori propongono di rispondere al richiamo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con l’istituzione di una Commissione strategica bipartisan per il lavoro e per le imprese, sotto l’egida dello stesso Mattarella, composta dai massimi esperti in campo sanitario, accademico, industriale e aziendale. Ci sono anche precedenti, come i Dieci Saggi di Napolitano del 2013. Un gruppo di lavoro che sia diretto a pensare il futuro oggi e ad avere un modello di cooperazione da presentare in Europa.

Auspicando una risoluzione dell’emergenza sanitaria entro l’estate e comunque non oltre la fine del 2020, va attivato un piano per la crescita e per il lavoro, accompagnato da un progetto di riforme che riguardino anche la casa comune europea, per fare ripartire un Paese fermo da troppi anni, in crescita e produttività.

Per mitigare gli shock nell’area euro e nel resto dell’Unione Europea è certamente funzionale proporre politiche macroeconomiche di condivisione del rischio – risk-spreading policies –, per ora in invarianza dei Trattati, anche ricorrendo a strumenti di debito comuni. Per reperire liquidità nell’Eurozona, Leonetti e Triulzi raccomandano di non ricorrere al MES – o fondo salva stati, che dir si voglia –,  che senza modifiche delle regole previste non porterebbe che delle strette condizionalità (come oggi definite dall’art.12 del Trattato istitutivo), nonché benefici parziali vista la magnitudine delle risorse di cui necessitiamo, anche nella ultima versione di ieri dell’Eurogruppo.

Inoltre, l’orizzonte di intervento delle misure di risk sharing dovrebbe essere esteso a tutta l’Unione, mentre il MES concerne solo l’Eurozona. In sostanza, ci si dovrebbe incamminare verso la realizzazione di un Bilancio dell’UE pre-federale, attivando strumenti di garanzia e con un ruolo attivo delle Istituzioni europee vocate, come la Banca Europea degli Investimenti. Un primo possibile strumento europeo di risk sharing può essere rappresentato dal Piano di investimenti per l’Europa Sostenibile, da ampliare e rafforzare.

Dopo il 2008, l’UE pare diventata il luogo del diniego delle azioni comuni, mentre è evidente che l’Europa unita possa sopravvivere unicamente ritrovando l’intesa e la cooperazione tra i popoli che la compongono, vincendo i pericolosi sovranismi e gli ottusi rigorismi. È necessario riaprire il dibattito sulla Costituzione Europea e intraprendere politiche economiche, fiscali e sociali comuni, ma innanzitutto costruire un nuovo contratto sociale.
Francesco Luise

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